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> Джузеппе и Теодоро Лекки, Вот, случайно нашел
litregol
сообщение 19.8.2008, 13:32
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Нашел случайно, но в итальянском, увы, не силен
Джузеппе и Теодоро Лекки (Леки), может где есть про них?
http://images.google.lt/imgres?imgurl=http...l%3Dlt%26sa%3DG

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La vita e le straordinarie avventure di Giuseppe e Teodoro Lechi
Giuseppe Lechi, figlio primogenito di Faustino, nacque ad Aspes, vicino a Brescia, il 5 dicembre 1766. Suddito della Serenissima, intraprende la carriera militare nell’esercito austriaco raggiungendo il grado di capitano. Dopo l’arrivo di Napoleone in Italia prepara con altri rivoluzionari bresciani e i fratelli la rivoluzione bresciana che esplode il 18 marzo 1797. La sorella Franca è l’anima di questa rivolta e già alcuni giorni prima aveva cucito con le sue mani il tricolore. Giuseppe entra nel governo provvisorio di Brescia ed organizza la Legione bresciana autonominandosi generale. Con la fondazione della Repubblica Cisalpina a Milano (9 luglio) i bresciani vi confluiscono subito portandovi tutta la loro irruenza. Napoleone, per evitare scompigli nella capitale, invia la legione bresciana e i Lechi (Giuseppe, il comandante, Teodoro ed Angelo) prima in Emilia e poi, nell’inverno nelle Marche. Questo piccolo esercito si fa subito onore entrando profondamente nell’Italia centrale spingendosi fino a Città di Castello. E’ qui che accade il famoso episodio, ancora oggi oggetto di dubbi e sospetti, della donazione a Giuseppe Lechi da parte della città del quadro dello Sposalizio della Vergine di Raffaello, oggi a Brera. Questo non è comunque l’unico quadro che arriva a Brescia dopo questa spedizione militare anche perché assieme a Giuseppe c’era il giovane fratello Teodoro, grande appassionato d’arte. Tornato a Brescia, Giuseppe entra a far parte del Consiglio dei Juniori dal quale esce però subito per protesta assieme agli altri bresciani. Nella primavera del 1799 è ancora una campagna militare in Valtellina per domare le rivolte antifrancesi. Giuseppe ne approfitta per vendicare lo zio Galliano bombardando alcune case del paese dove lo zio era stato assassinato. Con l’arrivo degli austro-russi, dopo aver murato in casa il prezioso Raffaello, Giuseppe si ritira con i suoi soldati a Digione partecipando alla costituzione della Legione italica nella quale assume il grado di comandante superiore, agli ordini del comandante generale Teullié.

Attraversate le Alpi con Napoleone, Giuseppe (sempre con Teodoro ed Angelo) appoggia l’azione delle truppe Francesi percorrendo la linea delle Prealpi (Varese, Como, Lecco, Bergamo e Brescia) per confluire poi con il grosso dell’esercito a Marengo dove è nominato Generale di divisione sul campo. Prosegue poi le operazioni militari nelle Venezie partecipando alla conquista di Trento. Dopo la pace di Luneville (9 febbraio 1801) che pone temporaneamente fine alle ostilità con l’Austria tutto l’esercito viene riformato. Sotto il comando di Murat, le truppe della Cisalpina vengono organizzate in divisioni al comando del generale Pino e di Giuseppe Lechi. Giuseppe entra in politica, partecipa ai Comizi di Lione ed entra nel nuovo Corpo legislativo della Repubblica italiana. E’ forse per sostenere questa sua nuova carriera che vende per 50.000 lire il Raffaello ad un collezionista milanese, Giacomo Sannazzaro.

Stringe rapporti sempre più stretti con Gioacchino Murat partecipando alla creazione a Milano della prima loggia massonica di rito scozzese e di tendenze filofrancesi (sino a quel momento la massoneria a Milano era stata filoaustriaca) denominata “Fratelli riuniti”. Qui cominciano alcuni equivoci che si trascineranno per tutta la vita di Giuseppe: chi sono i fratelli riuniti? Italiani e Francesi come pensavano allora Napoleone e Murat oppure “padani” e napoletani? Molti napoletani infatti, sfuggiti alle persecuzioni dei Borboni, erano a Milano e spingevano per una liberazione del Regno di Napoli dai Borboni. Giuseppe lega subito con loro, suscitando i sospetti del Melzi e di Napoleone, contrarissimi all’idea di un’Italia unita. E’ in questo contesto che ha luogo a Milano nel 1802 quella riunione segreta tra Giuseppe Lechi, Domenico Pino e alcuni patrioti napoletani per sollecitare l’unità d’Italia che Benedetto Croce indicherà come la data di nascita del Risorgimento italiano.

Questa situazione confusa e ambigua spiega gli avvenimenti successivi. Nel 1804, quando il generale Saint Cyr avvia la spedizione di Napoli che porterà Giuseppe Bonaparte sul trono dei Borboni, Giuseppe Lechi (ma non gli altri fratelli Lechi) è subito pronto ad aggregarsi e spinge le sue truppe alla liberazione delle regioni adriatiche del Regno di Napoli. I suoi successi e i suoi stretti legami con i patrioti napoletani spingeranno ben presto i Francesi a sospendere le azioni delle truppe italiane nel sud rispedendole a Milano. Giuseppe Lechi al suo ritorno è ormai “napoletanizzato”. Quando il 20 giugno 1805, in occasione dell’incoronazione di Napoleone, tutti i Sorveglianti delle Rispettabili Logge massoniche si riuniscono a Milano per costituire il Grande Oriente d’Italia di Rito Scozzese Antico Accettato (RSAA), Giuseppe Lechi partecipa all’incontro nella veste di Gran Maestro del Grande Oriente di Napoli al fine di unificare le due fratellanze.

Non è strano quindi se lo ritroviamo l’anno dopo con Murat nella seconda spedizione di Napoli e questa volta Giuseppe è a capo di tutta l’ala sinistra dell’esercito. A Napoli i legami con Giuseppe Bonaparte e con Murat si fanno sempre più stretti mentre si allentano quelli con la Lombardia e con gli altri fratelli che passano al servizio di Eugenio di Beauharnais.

Negli anni 1808 e 1809 Giuseppe Lechi è con il generale Pino in Spagna al servizio di Giuseppe Bonaparte, che ha ceduto il regno di Napoli a Murat.

Qui succede qualcosa di strano, che i biografi di Giuseppe non sanno o non vogliono raccontare. Giuseppe, dopo un lungo assedio, prende Barcellona e ne diventa il governatore. Alla fine del 1809 rientra a Parigi con le truppe decimate dalla malaria e riceve da Napoleone una dote di 10.000 franchi annui. Poco dopo però viene arrestato e rinchiuso nel castello di Vincennes per le “prepotenze” e le “prevaricazioni” compiute in Spagna. Il processo viene insabbiato per non infangare l’esercito e Giuseppe Lechi viene “regalato” a Gioacchino Murat, re di Napoli. Il Lumbroso, uno dei pochi che si sia occupato in seguito di questo personaggio storico, parla di “accuse di orrori, malversazioni e abusi infiniti” ma conclude dicendo che “sulle colpe del Lechi non si sa bene quante e quali fossero. Denaro certamente. La pratica fu archiviata.”

Giuseppe, tornato a Milano ma al servizio del Murat, comincia a tramare con Domenico Pino contro Eugenio di Beauharnais e contro Napoleone. Nel novembre del 1813, quando Murat transita da Milano di ritorno dalla Russia, i due passano molto tempo assieme a confabulare sotto gli occhi sospettosi della polizia. Poi Giuseppe raggiunge Murat a Napoli e, al precipitare degli eventi, diventa luogotenente del re di Napoli nella campagna degli austro-napoletani contro l’esercito di Eugenio. Il 31 gennaio 1814 Giuseppe è nominato governatore della Toscana e in questa veste cede Livorno agli Inglesi facendo infuriare Napoleone. Nel 1815, infine, conduce l’ultima disperata campagna di Murat contro l’Austria che costerà la vita all’aspirante re d’Italia e il carcere al generale bresciano. Al ritorno dalla prigionia a Lubiana, nel 1818, Giuseppe si stabilisce nella villa di famiglia a Montirone vicino a Brescia. Si sposa con Eleonora, figlia del Pari di Francia Simeon e trascorre gli ultimi anni strettamente sorvegliato dalla polizia, isolato anche dai fratelli. Muore di colera a Montirone nel 1836. Personaggio “più temerario, più spregiudicato e meno scrupoloso” degli altri fratelli, come lo definisce Fausto Lechi, lo studioso pronipote di Teodoro che ha raccontato le vicende napoleoniche della famiglia nella Storia di Brescia, Giuseppe ha lasciato delle Memorie autobiografiche ancora inedite, che sono conservate manoscritte nella Biblioteca Queriniana di Brescia e che meriterebbero di essere studiate e pubblicate, viste le ombre che circondano ancora questa strana figura di soldato.

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Quanto è oscura e torbida la figura di Giuseppe, altrettanto limpida e solare è invece l’immagine del fratello Teodoro, “mon beau général”, come lo chiamava familiarmente Napoleone. E' molto probabile che sia proprio ispirata a Teodoro Lechi la nobile figura di ufficiale descritta da Stendhal nella Certosa di Parma come conte di Pietranera.

Teodoro Lechi nasce a Brescia il 16 gennaio 1778, quattordicesimo figlio di Faustino e quinto dei sette maschi sopravvissuti dopo Giuseppe, Giacomo, Angelo e Bernardino. Ancora molto giovane al momento della rivoluzione bresciana, segue i fratelli maggiori nelle vicende che porteranno Giuseppe fino al grado di generale dopo la battaglia di Marengo. Ha modo di farsi notare per il suo coraggio durante la presa di Trento: è il primo ad assalire la città.

Il suo carattere più schietto e leale, meno contorto di quello di Giuseppe, lo tiene lontano dalle congiure per l’unità d’Italia tramate forse dal fratello con i napoletani, si schiera invece subito e decisamente con il Melzi e con Napoleone ed entra nella nuova Guardia Presidenziale della Repubblica Italiana che diventerà poco dopo la famosa Guardia Reale. Teodoro, con i migliori quadri della Guardia, trascorre quasi due anni a Parigi (dal 1803 al 1805) per addestrarsi alle nuove tecniche militari francesi. Quando torna a Milano con Eugenio di Beauharnais, nuovo viceré del Regno d’Italia, è comandante dei Granatieri della Guardia Reale. Ha persino l’onore, dopo l’incoronazione, di ospitare Napoleone nella villa di famiglia a Montirone (13 giugno 1805) ed è nominato Scudiero del Re d’Italia. Ma la vita sedentaria di corte non fa per lui. Vuole seguire il suo idolo nei campi di battaglia ed eccolo infatti a Ulma, ad Austerlitz e in tutte le avventure napoleoniche di questi anni trionfali. Dal 1807 al 1809, passa di battaglia in battaglia, di vittoria in vittoria, nel Veneto, in Dalmazia, in Albania, in Ungheria. Dopo la battaglia di Wagram (6 luglio 1809) alla vigilia della quale aveva formato con la sua Guardia il quadrato attorno all’imperatore, è nominato Barone dell’Impero con diritto di trasmissibilità del titolo, privilegio quest’ultimo conferito a pochissimi italiani.

Dal 1810 alla fine del 1811, mentre il fratello Giuseppe è in carcere o comunque in disgrazia, Teodoro si gode a Milano le grandi feste e i balli di questo raro periodo di pace. E’ forse in questi anni che acquista la casa in Porta Orientale, dove ammasserà i più di 800 quadri raccolti durante le sue campagne militari, qualcuno persino in Albania.

Bello, colto, ricco e famoso, il 10 febbraio 1812 Teodoro parte per la campagna di Russia dove ogni avversità si scatena contro l’esercito francese. Anche qui, però, nei terribili giorni della ritirata, la sua buona stella lo assiste. Riesce a salvarsi con molti della sua Guardia e a meritare l’elogio dell' imperatore per le sue grandi capacità di comandante e di combattente. L’anno successivo, Eugenio si affida interamente a lui per ricostruire un esercito a Milano dopo la catastrofe, e Teodoro riesce a partire per la nuova guerra contro l’Austria con 10.000 uomini. Ma ormai la sorte di Napoleone è segnata. Teodoro segue Eugenio nell’avanzata e nella ritirata in Italia dopo la sconfitta di Lipsia. Lentamente ma inesorabilmente devono ripiegare dal Friuli, poi dal Veneto attestandosi nel febbraio 1814 a Salò, ultima linea di difesa per non perdere Milano. Gli Austriaci incalzano a est, gli austro-napoletani di Murat e Giuseppe Lechi sono attestati oltre il Po in attesa degli eventi. Sembra che sia ormai arrivato il momento in cui i due fratelli si scontreranno in un’ultima battaglia decisiva tra due Italie o tra due modi di concepire l’Italia, ma Eugenio firma l’armistizio con l’Austria sperando di conquistarsi così il trono. Teodoro lo supplica di andare a Milano prima che i suoi nemici - soprattutto il generale Pino - facciano svanire le sue speranze. La Guardia Reale, per bocca di Teodoro, proclama la sua fedeltà ad Eugenio il giorno 19 aprile, ma il giorno dopo ci sarà la rivolta di Milano e la fine del sogno bonapartista in Italia. Teodoro, per non consegnare all’Austria le bandiere delle Guardia Reale le fa bruciare dai suoi ufficiali che poi ne mangiano le ceneri. Salva solo le aquile che donerà a Carlo Alberto nel 1848 (una è conservata al Museo del Risorgimento di Milano).

Tornato “borghese” dopo aver rifiutato il giuramento all’Austria, Teodoro vive tranquillo, circondato dai suoi quadri, a Porta Orientale. Ma è solo per pochi mesi. A settembre, mentre è nel suo giardino con un vaso di fiori in mano, entra un suo ex collega ed ex fratello massone che gli dice: “Teodoro, è il momento di deporre i fiori e impugnare la spada!”

Il generale si risveglia in lui ed eccolo coinvolto nella congiura massonica degli ex generali del 1814. Le congiure però non fanno per lui: arrestato in dicembre è rinchiuso nel Castello Sforzesco, al secondo piano nel cortile della Rocchetta, poi viene tradotto a Mantova. Condannato prima a morte, la condanna viene poi commutata in cinque anni di carcere anche perché non ammise mai la sua partecipazione né denunciò gli altri congiurati. Rimesso in libertà nel 1819, si infierì ancora su di lui, condannandolo a pagare al fisco una cifra enorme come rimborso per le gratifiche ottenute da Napoleone. Cerca di vendere a Londra i suoi quadri, ma gli si nega il permesso di esportazione. Deve vendere allora la casa di Porta Orientale, che passa al conte Batthyányi, membro di un’illustre famiglia d’Ungheria.

Tornato a Brescia nella casa di famiglia dove vivevano alcuni dei suoi fratelli, nel 1829 sposa Clara Martinengo-Cesaresco dalla quale ha tre figli, uno solo dei quali, Faustino, raggiunge la maggiore età. Nel 1832 riesce finalmente a contrattare l’esportazione dei quadri. In cambio cede a Brera il Martirio di Santa Caterina di Gaudenzio Ferrari e la Madonna col Bambino e i santi Giovanni Battista e Girolamo di Callisto Piazza. Con i soldi ricavati acquista dal fratello Luigi l’isola Lechi sul lago di Garda. Nel 1843, per fornire una buona scuola a Faustino, torna a Milano e prende in affitto un appartamento nella casa Bellotti in via Brera. E’ destino però che Milano non consenta a Teodoro di vivere finalmente in pace. Il 18 marzo 1848, all’inizio delle Cinque Giornate, bussano di nuovo alla sua porta perché, a 70 anni suonati, torni ad impugnare la spada. E’ condotto al Broletto, si vuole che sia a capo delle milizie rivoluzionarie. Fa appena in tempo ad accettare, che è subito arrestato e condotto nuovamente alla Rocchetta dove resterà fino al termine dell’insurrezione. Cercherà invano nei mesi seguenti di consigliare Carlo Alberto a correggere la disastrosa campagna militare che sta conducendo. Alla fine ripara a Torino con la famiglia subendo il sequestro dei beni e una multa di 40.000 lire. Nel 1854 scrive per il figlio la sua autobiografia che verrà pubblicata alla fine dell'Ottocento. Nel 1859 può finalmente tornare a Milano in un appartamento di palazzo Taverna di via Bigli dove muore il 2 maggio 1866.

Сообщение отредактировал litregol - 19.8.2008, 16:19


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Леки Теодоро (1778-1866) - командовал Королевской итальянской гвардией, входившей в корпус Богарне, барон, бригадный генерал

"Красивый, отчяянный, богатый и известный, Teodoro 10 февраля 1812 года уезжает в кампанию России где множество бедствий набрасывается на французскую армию. Но даже здесь, во время ужасного отступления, его счастливая звезда его спасает. Ему удается спастись со многими из его гвардии и он заслуживает похвалу императора за его выдающиеся способности командира и бойца. На следующий год, Евгений доверяется полностью ему, для того чтобы перестроить после катастрофы миланскую армию, и Teodoro уезжает на новую войну против Австрии с 10.000 человеками. Но теперь судьба Napoleone переменилась. Teodoro с Евгениемжении отступают в Италиию после поражения под Лейпцигом."

Сообщение отредактировал litregol - 19.8.2008, 19:20


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Я испытываю отвращение к системе, разработанной для "пользователя", если в слове "пользователь" закодировано уничижительное значение "тупой и примитивный". Кен Томпсон
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